Quando si parla di sviluppo sostenibile, si finisce sempre con il parlare del mondo della moda e di quanto alta sia la sua impronta ambientale. Perché l’industria tessile e non la metalmeccanica?
Cosa davvero ha di diverso il mondo del fashion da dover essere così costantemente sotto l’occhio del mondo?
Tante cose, davvero più di quanto uno possa immaginare guardando una semplice maglietta.
Negli ultimi 30-40 anni è cambiato profondamente il nostro approccio con gli abiti. Sino agli inizi degli anni ’80 un capo di abbigliamento era qualcosa che si comprava ogni tanto e con l’intento di tenerlo per molto tempo. Insomma, era un bene durevole, come lo erano gli elettrodomestici, le auto ed i mobili.
Certo non avevano tutti la stessa durata, ma ho ancora nell’armadio il cappotto che mi hanno regalato per i miei 18 anni ed un maglione di Fiorucci che comprai durante l’università. Capi che hanno 30 anni e che fanno ancora una figura più che degna.
Non so bene quando, ma ad un certo punto qualcosa è scattato ed è diventato pian piano normale comprare 20 magliette a 5.99 euro per buttarle dopo 1 mese.
Ecco, gli abiti sono diventati beni di consumo come i piatti di carta e le matite. C’è un documentario che illustra questo punto molto bene, The true cost
Questo cambio di posizionamento ha conseguenze importanti e non è stato casuale, ma voluto ed indotto da chi aveva il desiderio di farci consumare il più possibile in termini quantitativi, facendoci perdere il concetto di qualità. Indotto da chi aveva bisogno che non ci curassimo più di quanto durava un nostro acquisto, ma che ci interessasse solo spendere poco e comprare continuamente. Fame compulsiva di abiti 🙂
Così il tessile ha aumentato la sua produzione e, contemporaneamente, ciò che produceva diventava rapidamente rifiuto, generando un’ulterioire domanda: una macchina da soldi perfetta!
Ovviamente non produce solo soldi, produce armadi pieni, discariche piene, portafogli vuoti e scarichi infiniti.
Le fibre naturali devono essere coltivate o allevate, se la domanda cresce, tocca passare a metodi intensivi. Le fibre artificiali e sintetiche devono essere prodotte, anche qui se la domanda cresce tocca aumentare la produzione. Risultato: aumentano i consumi di acqua (no, non siamo ancora capaci di autoprodurcela, è una riosrsa finita) quelli di energia e le persone impiegate devono aumentare i loro ritmi.
Poi parte tutto il ciclo di tintura, stampa, lavorazioni varie e di confezione; ogni ciclo consuma risorse, usa le persone e produce rifiuti. Ogni ciclo genera abiti studiati per durare poco e costare ancora meno risparmiando su tutto, dalle materie prime al costo del lavoro. Soprattutto ogni ciclo genera guadagni e induce ad accellerare sempre di più.
Nessun altro ambito industriale ha subito una simile accellerazione unita ad un simile crollo della qualita è durata di ciò che produce.
In questi 30 anni abbiamo prodotto abiti in grado di vestire le generazioni future per secoli. Peccato che, per farlo, si siano consumate risorse non rinnovabili e si siano inquinate acque, aria e terreno.

Con risorse non rinnovabili non intendo solo l’energia e l’acqua, anche le persone sono risorse non rinnovabili. Gli orari di lavoro, lo stress, le condizioni insalubri, la noncuranza verso le norme di sicurezza, fanno parte del pacchetto velocità. Da una parte c’è lo spostamento delle produzioni verso aree geografiche in cui il costo del lavoro è bassissimo, ma anche rimanendo in Europa, i ritmi sono tali da logorare chiunque abbia a che fare, in qualche modo, con l’industria moda.
Quindi nulla di strano se è la moda ad essere nell’occhio del ciclone, diciamo che se la è cercata alla grande. Tornando allo sviluppo sostenibile e ai 17 punti in agenda per il 2030. il tessile è pesantemente coinvolto nell’inquinamento delle acque e nel dare forza a situazioni lavorative non dignitose e pericolose.
Le acque vengono utilizzate in tutte le fasi delle lavorazioni tessili, nel coltivare cotone, nello sfamare le pecore, nel far crescere i gelsi per i bachi. Ancora serve acqua per trattare i tessuti, per tingerli, per stamparli e per lavarli una volta che sono diventati abiti. Acqua che arriva pulita ed esce carica di tutto ciò con cui è venuta in contatto. Pesticidi, antimuffa, coloranti, conservanti, siliconi e tante altre belle cose. Per L’obiettivo 14 sono gli oceani ad avere in mano le chiavi del nostro futuro:
”
The world’s oceans – their temperature, chemistry, currents and life – drive global systems that make the Earth habitable for humankind. Our rainwater, drinking water, weather, climate, coastlines, much of our food, and even the oxygen in the air we breathe, are all ultimately provided and regulated by the sea. Throughout history, oceans and seas have been vital conduits for trade and transportation. “
Le condizioni di lavoro sono spesso pesanti e, in alcune zone del mondo, diventano estreme. Quindi il tessile è punto cruciale in uno sviluppo sostenibile; non ha scampo. L’obiettivo 8 cita: ”
Sustainable economic growth will require societies to create the conditions that allow people to have quality jobs that stimulate the economy while not harming the environment “

Il lavoro è diritto e dovere di ogni uomo, è il modo per sostentarsi ed esprimersi. Non può e non deve mai diventare una prigione ed un pericolo.
Come sempre piccola playlist con quel tocco di rivoluzione e di resistenza più che mai necessari ora.
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